Zuppa di arzilla quintoquartista





Cara AnnaMaria quando ho scoperto che avevi vinto tu ho avuto un attimo di sconforto totale. 
Primo perché la tua cucina rappresenta un qualcosa di molto lontano da quella della sottoscritta, caratterizzata dalla ricerca di ingredienti particolari di cui spesso e volentieri non so nulla e per le metodiche che utilizzi, "troppo" oltre per chi come me cucina spesso e volentieri in maniera casalinga. Ma allo stesso tempo resti uno di quei pochi capisaldi in rete da cui affacciarsi per prendere spunti e idee. 
Il secondo motivo che mi ha creato una punta di disagio è stata la tua richiesta del racconto di un momento della nostra vita in cui il cibo ha fatto la differenza.
Dopo l'entusiasmo iniziale che mi portava a scrivere dei fatti miei sul blog ho cominciato a rallentare, notando che spesso l'interesse di chi leggeva era rivolto più al post che alla ricetta. Ho pensato che il raccontare il mio privato in un qualche modo lo impoverisse e ho praticamente smesso, questa sera cerco di farmi una piccola violenza.
Poco fa, dopo aver cucinato praticamente tutto il giorno, nel lavare i piatti ho cominciato a pensare a questa richiesta e ho scoperto che in realtà per me è praticamente impossibile individuare una singola occasione.
Se dovessi mettere in una scala d'importanza i cinque sensi di cui sono fornita, sicuramente al primo posto, a pari merito, andrebbero il gusto e la vista. Dopo l'olfatto e il tatto. 
Per ultimo l'udito: amo il silenzio. So che per te che ami la musica è quasi un affronto, ma nel silenzio più totale spesso e volentieri mi ritrovo ad ascoltare semplici rumori che racchiudono una musicalità tutta loro.
Ritorno al gusto: credo che la mia vita si piena di ricordi legati a sapori ben impressi nel cervello, di cui spesso sono andata anche alla ricerca, ma che il più delle volte non sono riusciti a raggiungere le aspettative del ricordo. Eccone alcuni, quelli che mi sono venuti in mente di getto. 
Il panino ca meusa mangiato in una calda giornata estiva coi miei fratelli al mercato della Vucciria: il grasso che ti stuzzica la lingua, mia madre che ci dice di starle vicino, il fumo, il caldo la confusione.
La frisella bagnata nell'acqua di mare che mio madre condiva coi pomodori tagliati sul gommone. Anche in questo caso ricordo il caldo. Si stava tutto il giorno sotto al sole, senza ombre, senza creme. Gommone e tenda. Poche docce, ti sentivi sempre il sale addosso, la pelle tirare. I capelli che diventavano bianchi, stopposi.
Il fritto alla piemontese cucinato da nonna. Non viveva con noi e ricordo le poche volte che lo ha preparato la fatica di lei così piccola e bianca che stava in cucina per ore.
Gli gnocchi di Gheby il giovedì. Lui, eritreo, che sapeva fare gli gnocchi e la parmigiana alle melanzane come non ho più mangiato. Preparazioni che richiedevano un rituale ben preciso: la scelta delle patate e la "stesa" delle melanzane: le infilava, dopo averle fritte, su un ferro da calza, lo appoggiava alla latta dell'olio Cuore in modo tale che le fettine appena fritte restassero sospese nell'aria in modo tale da asciugarsi.
Il giorno degli "avanzi" in cui le amiche venivano a casa nostra per far merenda con quanto avanzato dalle cene preparate da mamma. Ricordo le fasi: quella del creme caramel, quella degli spatzle agli spinaci, quella dell'anello di tagliolini o meglio ancora la corona di pasta con le polpettine e i bordi rivestiti di melanzane fritte. I pranzi della domenica in cui non le andava di cucinare: abbiamo avuto il lungo periodo degli spaghetti cotti nel vino rosso o della pasta coi pomodorini freschi e il basilico.
La prima volta che mio fratello grande cucinò per noi due piccoli da solo: le patatine fritte si trasformano in una palla informe, tutta molliccia dentro, ma gustata con gioia sul lettone. Senza genitori, per la prima volta liberi ci sentivamo grandi e felici.
L'uovo sodo ripieno e fritto mangiato a Capri assieme ad un parfait di caffé che non sono mai riuscita a replicare, ospite di un uomo anziano che per problemi di salute non poteva mangiare e non faceva altro che ordinarmi piatti da provare, per gustare attraverso i miei occhi.
Il cous cous mangiato nel deserto, cucinato sul fuoco acceso dagli autisti dei tir che ci vennero in soccorso: l'agnello conservato in un telo sporco, tagliato e cucinato davanti a noi, sconosciuti, e mangiato insieme, con le mani in uno dei gesti che per me resta in assoluto uno dei più belli.
Ti assicuro che potrei andare avanti ancora per molto, gli anni ce li ho tutti e di ricordi in quantità, ma sono buona e "ti grazio" passando alla ricetta.
Come spesso succede nella mia cucina l'idea era tutt'altra. Avendo il lago vicino volevo tentare una zuppa di lago, ma trovare pesce di lago intero pare sia cosa difficile. Solo in filetti e allora ho deciso di lasciar perdere.
Ho rivolto la mia attenzione ad un piatto tipicamente romano: la minestra con le arzille.
Anche qui: sembra facile e non lo è! Di ali di razza a bizzeffe, ma di trovare una razza intera non se ne parla. Dopo aver chiesto più volte invano al pescivendolo di rimediarmela, finalmente la telefonata: "E' arrivata!" Non so quanto fosse grande perché non l'ho pesata, ma forse dalla foto puoi fartene un'idea. Mai affrontato un pesce così grosso. E sfilettare la razza non è stato affatto semplice. Ero partita di macchina fotografica, ma dopo il primo lavaggio di mani ho desistito. 
E' un animale bellissimo, in realtà ricco di carne e soprattutto privo di spine. Normalmente per questa minestra vengono utilizzate le ali, ma essendo fuori misura ho preferito sfilettarle e conservarle per altre preparazioni. La zuppa è stata preparata con le parti meno nobili, come la coda e parte della testa. Non essendo stata eviscerata al suo interno ho trovato un fegato che non sono riuscita a buttare e che ho deciso di inserire all'interno della zuppa. Ma basta: passo alla ricetta!



Ingredienti (più o meno):



coda, testa e scarti di razza
1 cipolla
1 carota
1 costa di sedano
1 pomodoro secco salato
1/2 bicchiere di vino bianco secco (ne ho scelto uno laziale)
olio extra vergine di oliva


1 broccolo romanesco
1 grappolo di pomodori datterini
olio extra vergine di oliva
1 spicchio d'aglio
2 filetti d'alaccia sott'olio
sale - pepe

gallette del marinaio


Paté di fegato di razza ( da una ricetta di Cristina Galliti):

fegato di razza
1 cucchiaio di capperi dissalati
1 alice sott'olio
2 spicchi d'aglio
olio extra vergine di oliva

Fate rosolare in olio la cipolla, il sedano e la carota tagliate in piccoli pezzi. Aggiungete la razza a fate insaporire. Sfumate con il vino bianco. Aggiungete acqua fino a coprire. Unite il pomodoro secco e portate ad ebollizione. Nel caso fosse necessario schiumate il brodo. Dall'ebollizione calcolate circa 15 minuti.

Pulite il broccolo, suddividendo le cimette. Portate sul fuoco l'aglio assieme ad un filo di olio extra vergine. Unite l'alaccia, fatela sciogliere e aggiungete le cimette di broccolo. Fate insaporire.
Tagliate i pomodori in quadratini ed uniteli al broccolo. A questo punto il brodo sarà pronto, trasferitelo con l'aiuto di un colino sui broccoli e portateli a cottura facendo attenzione che non cuociano troppo ( a me piacciono sodi!).
Nel frattempo ricavate tutta la polpa dalla razza utilizzata.

Preparate il paté di fegato di razza. Fate imbiondire l'aglio con un filo d'olio extra vergine, unite il fegato tagliato in cubetti, i capperi e l'alice. Fate saltare a fuoco vivace per pochi minuti. Dopodiché eliminate l'aglio e passate al mixer in modo tale da ottenere una crema.

Servite il brodetto con le gallette e il paté di fegato.



Con questa ricetta partecipo all'MTC. N. 55

Commenti

  1. mi piace moltissimo! brava! come ti ho già detto anch'io avevo pensato alla minestra d'arzilla ma poi ho optato per un'altra cosa. L'aggiunta quinto quartista è perfetta, hai fatto buon uso della mia ricetta, bravissima!! E grazie per la citazione. baci, Cris

    RispondiElimina
  2. Grandiosa interpretazione ! E quanto corraggio ad affrontare un mostro di pesce...vorrei tanto assaggiare gli spaghetti al vino rosso domenicali di tua mamma e la frisella bagnata nell'acqua di mare quando ancora si poteva !Il pesce di lago mi sa che salterò anch'io...e il gioco si complica :) Un abbraccio e a presto, Marina.

    RispondiElimina
  3. Certo che tu mi affascina sempre per la tua "selvaggezza" ;) Adoro la tua semplicità saporita. La minestra di arzilla non l'ho mai mangiata e chissà se mai la assaggero'

    RispondiElimina
  4. Certo che tu mi affascina sempre per la tua "selvaggezza" ;) Adoro la tua semplicità saporita. La minestra di arzilla non l'ho mai mangiata e chissà se mai la assaggero'

    RispondiElimina
  5. Ogni volta che passo di qui, la mia stima e la mia ammirazione per te aumentano. Ogni volta. Anche il Mare del Nord regala bellissimi ed enormi pesci raiformi e si trovano senza difficoltà in tutte le pescherie di Scheveningen, ma proprio non me la sono sentita di affrontarli così, da sola, a mani nude...Splendidi i tuoi ricordi legati al cibo. Stupenda la ricetta, mi piacerebbe da morire poterla assaggiare. Ti abbraccio forte, bellissima e coraggiosa donna. A presto!

    RispondiElimina
  6. Come te sono in totale imbarazzo nel trovare quel momento in cui il cibo ha fatto la differenza proprio perché la maggior parte dei miei ricordi più belli sono stati vissuti davanti ad un piatto o ad una tavola. Mi hanno emozionato i tuoi ricordi, ho ritrovato molto del mio sentire così come mi affascina questo piatto, di cui ho sempre sentito tanto parlare ma che non mai affrontato. Vedere poi come hai affrontato una razza intera...ma non mi sorprende, sapendo che prima o poi ti vedrò lavorare un animale molto molto più grosso. La tua sensibilità è fra le più belle ed intense che mi è capitato di incontrare nell'etere. Sembra bravissima Cristiana. Grazie.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Vorrei mettere un sentito ed accorato "mi piace" al commento di Patrizia

      Elimina
  7. Un post che mi ha tenuto incollata dalla prima all'ultima riga, ricetta compresa. Sono completamente d'accordo con Patty, e vado oltre. In quei ricordi così semplici eppure così significativi si legge la differenza di chi vede nel cibo una componente essenziale della propria vita (che nulla ha a che vedere con il solo nutrimento) e chi mangia e basta.
    Non so come tu abbia fatto a rapportarti con quella razza, mi fa spavento solo in foto :D
    Una ricetta che non conoscevo, e che ora grazie a te conosco.

    RispondiElimina
  8. Assolutamente interessante come preparazione. Ogni volta grazie a questa sfida imparo qualcosa di nuovo e in questo caso una ricetta che disconoscevo. Grazie e complimenti

    RispondiElimina
  9. Il fegato della razza! Che meraviglia. Io credevo di aver compiuto un impresa sfilettando la mia prima sogliola, operazione per cui ho profusamente rotto le balle al pescivendolo per farmela mostrare. Complimenti, un piatto meraviglioso. Lidia

    RispondiElimina
  10. Grazie, che altro dire, non conoscevo questo piatto. Devo assolutamente recuperare! E brava ragazza!!!

    RispondiElimina
  11. Bellissimi i tuoi ricordi legati al cibo, sarei andata avanti a leggerne ancora, ed è' raro che arrivvi in fondo a leggere un post confesso.. Facciamolo più spesso :) Bellisdima la ricetta , col tuo tocco di classe e genialità : io il fegato l'avrei buttato per dire;) un abbraccio !

    RispondiElimina
  12. Passo da qui e mi inchino con reverenza a cotanta bravura e originalità! A presto!

    RispondiElimina
  13. io vorrei che scrivessi un po' più di te.
    Hai scritto uno dei post più belli che abbia mai letto, in assoluto: e hai ragione, quando dici che c'è il rischio che nessuno si fili più la ricetta: perchè si rimane intrappolati dalla tua prosa e, soprattutto, da quello che trapela.Nello stesso tempo, è anche vero che le tue ricette sono così di impatto, così potenti, così interessanti da avere tutte le carte in regola per imporsi, anche quando l'avversario è temibile come il "vi racconto un po' di fatti miei".D'altro canto, non ci si può aspettare nulla di diverso, conoscendoti, nella tua ricchezza e nelle tue mille sfaccettature- che vanno tutte nella stessa direzione, di una cucina "vera" e di una persona "vera", che non hanno bisogno di fronzoli o di manfrine per celare quello che non sono. qui c'è sempre tanta roba, Cri- e ogni volta sempre meglio.

    RispondiElimina
  14. Sarei andata avanti per ore a farmi torturare dal tuo silenzio. E' vero, amo la musica, ma contrariamente a quello che può apparire sono una persona profondamente silenziosa e, lontana dal lavoro, solitaria. Amo ascoltare gli altri, da sempre, le cui confidenze, gesti, sguardi, odori diventano i miei personaggi. E sono loro che parlano per me. Qui invece hai parlato tu. Ed è stato meraviglioso ascoltarti perché ero con voi nel lettone, a ridere in quel modo un po' isterico tipico di chi scopre la libertà per la volta, ero con voi a raccogliere con quel caratteristico movimento della mano e delle dita racchiuse il cibo dal piatto comune, ero ad aiutare a stendere le melanzane fritte ed ero con il sentimento della Mamma, la cui mite ribellione spesso si manifesta nella preparazione di piatti veloci, ma pur sempre preparati. Mi piace molto il tuo brodetto, la scelta del pomodoro secco e l'aggiunta sul fino di lana del fegato. E grazie infine per le parole che hai riservato alla mia persona: ma sono molto più basica :) Un abbraccio. Anna Maria

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari